Introduzione
Negli ultimi anni la parola sostenibilità è diventata uno dei termini più usati (e abusati) dal marketing. Scaffali pieni di prodotti con confezioni verdi, simboli naturali e slogan rassicuranti come “rispettoso dell’ambiente” o “eco-friendly” attirano l’attenzione del consumatore. Ma quanto di tutto ciò è reale? E quanto invece è solo una strategia per convincerci a comprare senza un reale impegno ambientale?
Questa pratica ha un nome: greenwashing, e sta diventando sempre più diffusa in tutti i settori.
Che cos'è il greenwashing
Il termine nasce dall’unione di green (verde, ecologico) e washing (lavare), e significa “darsi una ripulita ecologica”. In altre parole, le aziende fingono attenzione per l’ambiente per apparire sostenibili agli occhi dei consumatori, senza modificare i propri processi produttivi.
Il fenomeno nasce negli anni '80, quando alcune grandi aziende accusate di inquinamento iniziarono a usare pubblicità con immagini naturalistiche pur continuando a produrre in modo altamente impattante. Oggi è diffuso in settori come fast fashion, cosmetici, food e energia.
Perché il greenwashing è pericoloso
- Inganna i consumatori: crediamo di fare scelte sostenibili quando in realtà non è così.
- Rallenta il cambiamento reale: ci sentiamo a posto con noi stessi e non cerchiamo alternative più efficaci.
- Penalizza chi è davvero sostenibile: le aziende etiche competono con chi investe solo in marketing.
- Crea sfiducia: una volta scoperto l’inganno, si rischia di dubitare di tutte le iniziative “green”.
Come riconoscerlo
Non sempre è semplice, ma ci sono segnali chiari che possono aiutare:
- Parole vaghe: termini come naturale, green, eco senza spiegazioni concrete.
- Packaging verde “a effetto”: foglioline o colori verde non rendono un prodotto sostenibile.
- Mancanza di trasparenza: un brand sostenibile fornisce dati, numeri e dettagli sulle pratiche.
- Promesse esagerate: claim come “100% ecologico” o “a impatto zero” spesso non hanno basi scientifiche.
- Compensazioni dubbie: piantare alberi non compensa pratiche altamente inquinanti.
- Singolo prodotto “eco”: il resto della produzione rimane impattante.
Esempi concreti di greenwashing
Alcuni esempi comuni per capire meglio:
- Fast fashion: collezioni “sostenibili” realizzate con materiali riciclati mentre il resto della produzione rimane altamente impattante.
- Cosmetici: shampoo o creme “naturali” per un singolo ingrediente, ma con siliconi o sostanze inquinanti.
- Energia: aziende che promuovono energia “verde” pur producendo da fonti fossili.
- Food: prodotti industriali con immagini di fattorie, senza coerenza con la filiera.
Come evitarlo e fare scelte consapevoli
Ci sono strategie pratiche per difendersi dal greenwashing:
- Controlla le certificazioni: Ecolabel UE, Fairtrade, ICEA, GOTS, COSMOS.
- Cerca trasparenza: verifica filiera, materiali e pratiche produttive.
- Diffida dei claim generici: parole come eco o green senza dettagli sono campanelli d’allarme.
- Informati sulla filiera: dove e come è stato prodotto il prodotto? Chi l’ha realizzato?
- Compra meno, compra meglio: ridurre i consumi e preferire prodotti durevoli è la scelta più sostenibile.
Conclusione
Il greenwashing sfrutta la nostra voglia di fare la cosa giusta per venderci illusioni. Ma possiamo diventare consumatori più consapevoli, premiando aziende trasparenti e riducendo il potere di chi usa la sostenibilità come facciata. La sostenibilità non è uno slogan o un colore: è una responsabilità quotidiana, fatta di scelte concrete e consapevoli.